Intervista e recensione a cura di Daniele
Cambiaso
Emanuele Gagliardi, Scacco dell’imbecille, Giovane Holden Edizioni, 2015
Nell’estate 1972 tiene banco a Gaeta il
discusso matrimonio tra l’ex colonnello delle SS Herbert Kappler e l’infermiera
Annelise Wenger. Troppo bruciante è il ricordo delle Fosse Ardeatine perché
l’opinione pubblica non critichi il regime carcerario a cui è sottoposto il
recluso e non circolino voci di transazioni poco chiare condotte nella sfera
della politica occulta, per cui quando Frau Kappler subisce alcune minacce
telefoniche viene inviato a vigilare su di lei un alto funzionario del SID,
l’ingegner Domenico Garretto, che è anche cugino del commissario di polizia
Umberto Soccodato.
I due uniscono l’utile al dilettevole e
decidono di trascorrere con le rispettive famiglie un periodo di ferie a Gaeta,
ma ben presto la situazione si complica. Proprio nell’hotel dove risiedono Frau
Kappler e i suoi angeli custodi, viene trovata morta la giovane e disinvolta
Sabine Werner, anche lei tedesca. C’è una qualche relazione tra la morte della
ragazza e le misteriose telefonate ricevute dalla moglie dell’ex ufficiale nazista? Chi sono i misteriosi
personaggi con i quali era solita accompagnarsi? Il movente del delitto è
politico o privato?
Scende in campo, a questo punto, il
talento investigativo del commissario Soccodato, qui alla sua sesta avventura,
che troverà ancora una volta il modo di pervenire alla soluzione dell’intricato
caso.
Con questo romanzo Emanuele Gagliardi
conferma di essere una delle penne più felici del giallo all’italiana, come del
resto testimoniano i numerosi premi e riconoscimenti da lui ottenuti. Con i
suoi “gialli vintage”, come lui ama definirli, si rivive un’epoca, quella degli
anni Settanta, che l’autore ci offre richiamando suggestioni musicali,
culturali e fenomeni sociali e di costume. Soprattutto, per chi ha vissuto quel
periodo, i romanzi di Gagliardi sono un’occasione straordinaria per salire su
una sorta di macchina del tempo e lasciarsi avvolgere da atmosfere
indimenticabili. Col progredire della serie, il commissario Umberto Soccodato
sta diventando un caro amico, che si aspetta di rivedere con quel piacere che
creano i personaggi seriali ben calibrati. Il carattere solo apparentemente
burbero, la passione per il commissario Maigret interpretato da Gino Cervi, che
talvolta si sforza di imitare, la complicità con la moglie, che spesso si
rivela la sua migliore aiutante, fanno di lui un detective piacevole, credibile
e, soprattutto, originale. Non è un investigatore d’azione, ma utilizza
l’osservazione e la deduzione come armi affilatissime che regalano soluzioni
sorprendenti ai suoi casi. “Scacco dell’imbecille” non fa eccezione,
dispensando emozioni e colpi di scena fino all’ultima riga. Vivamente
consigliato a chi ama i gialli all’italiana e d’atmosfera, oltre che – ça va
sans dire - ai nostalgici degli anni Settanta.
Proviamo, però, a scoprire qualche segreto
del commissario Soccodato e del suo autore, sottoponendo Emanuele Gagliardi a
stringente interrogatorio…
Emanuele,
intanto grazie per essere con noi: parliamo un po’ di te. Come sei arrivato
alla scrittura e come è nato il personaggio del commissario Soccodato?
Grazie a voi, anzitutto! Lettura e scrittura, insieme con
fotografia e disegno, sono da sempre parti essenziali del mio essere, del mio
modo di assorbire, metabolizzare ed esprimere le esperienze, le emozioni, gli
stupori che la vita riserva ogni giorno soprattutto per chi, come me, conserva
la meravigliosa capacità di osservazione dei bambini. Già alle elementari,
sussultava evidentemente in embrione il mio futuro di storico, mi piaceva
fissare su carta, con disegni o con brevi scritti, le esperienze che più mi colpivano:
un viaggio, una scoperta, la visita a un museo, un film al cinema… Più tardi la
scrittura, sulla scorta dei miei studi e della attività di giornalista, si è
indirizzata su saggi e articoli di storia contemporanea e filosofico-religiosa
dell’Estremo Oriente che ho pubblicato e ancora pubblico su riviste
specializzate. Alla narrativa vera e propria sono approdato più di recente. Un
concorso riservato ai dipendenti Rai (Narrerai)
mi ha sollecitato a scrivere il primo romanzo (La maschera, Rai Eri 2011). Un giallo, il genere che più apprezzo,
anche nelle sue trasposizioni televisive e cinematografiche, quanto a letteratura
di evasione. La vittoria al concorso e la pubblicazione di questo primo libro
mi hanno spronato a proseguire.
Quanto
al commissario Soccodato, senza dubbio è una sorta di alter-ego. Parecchi i
tratti in comune: gli occhiali e gli abiti demodé, l’ostinata indifferenza per le
mode tout court, il comportamento
riflessivo, a tratti malinconico, assolutamente antieroico… “La gente come me gira per strada, va al
mare, al ristorante, sente la musica… gli eroi invece stanno tutti al
cimitero!” scherza Soccodato con cinico sarcasmo.
Sono
espliciti nei tuoi romanzi i riferimenti al grande Simenon. È lui il tuo autore
di riferimento? Ci sono altri scrittori che ami in modo particolare?
Simenon è uno
degli autori di riferimento, ma soprattutto per l’adattamento televisivo del
suo Maigret interpretato tra il 1964 e il 1972 da Gino Cervi. Quello a cui
Soccodato si ispira dotandosi di cappello Borsalino e pipa, impostando la voce
e la mimica facciale… con risultati non troppo lusinghieri, invero, tant’è che
egli stesso ammette: “di Gino Cervi non
ho l’altezza né i capelli, al massimo la circonferenza!”
Il mio modello è piuttosto Giorgio
Scerbanenco, precursore – a mio parere ancora insuperato – di quel giallo-noir
all’italiana che ha influenzato sullo scorcio degli anni Sessanta e soprattutto
nei Settanta la produzione letteraria ma anche cine-televisiva. Attingendo alla
televisione e al cinema, cito ad esempio Dov’è
Anna? La polizia sta a guardare, Ultimo aereo per Venezia, La morte risale a
ieri sera, Qui squadra mobile, Un delitto per bene, Roma violenta, Milano
Calibro 9… Fra gli autori: Biagio Proietti, Diana Crispo, Massimo
Felisatti, Fabio Pittorru, Mario Casacci, Alberto Ciambricco, Carlo Fruttero e
Franco Lucentini.
Ci
spieghi un po’ questa definizione del “giallo vintage”? Che cosa rappresentano,
per te, gli anni ’70? Se non sbaglio questa tua passione si riflette anche in
alcune tue abitudini di scrittura, vero?
Il vintage da qualche anno è di moda. Basta
considerare la proliferazione dei mercatini dell’usato e del riciclo,
l’attaccamento e il ritorno ai dischi di vinile da parte di tanti musicisti e musicofili…
Sotto questi aspetti potrei considerarmi, spero di non passare per immodesto,
un precursore: prediligo da sempre abbigliamento anni Sessanta e Settanta, lo
cerco e lo indosso senza pretese di originalità: semplicemente perché mi ci
sento meglio! Ascolto esclusivamente musica, non solo in vinile però, di quegli
anni. Continuo a scattar fotografie con apparecchi a pellicola di cui il più
nuovo è del 1972 e, per rispondere alla tua domanda riferita alla scrittura,
scrivo le prime stesure dei miei romanzi con una Olivetti M40 del 1941! Logica
conseguenza di tutto questo: le storie dei miei romanzi sono tutte ambientate
in quegli anni. Perché? Perché scrivere è per me una essenziale valvola di
sfogo, l’uscita di sicurezza virtuale ma efficace da una società e da un mondo
moderno frettoloso, superficiale, edonistico, egoista che non mi piace. Gli
anni Settanta sono stati gli anni della mia infanzia e prima giovinezza, anni
vissuti nella totale magia della curiosità, delle scoperte, guidate e incentivate
dai familiari da cui si riceveva per di più protezione e sostegno. Un’epoca
individualmente indimenticabile per l’irripetibile connubio tra l’effervescenza
della giovane vita e la tranquillità amniotica entro cui essa si muoveva.
Irripetibile, appunto, se non con la fantasia che traduco nei romanzi.
Molto
importanti sono i collegamenti alla Storia del nostro Paese: in Scacco dell’imbecille si parla, per
esempio, della fuga di Kappler, in Un’ombra
la vicenda si svolge parallelamente al rapimento di Aldo Moro, ne La neve compaiono le trame golpiste,
mentre in Scommessa assassina troviamo
l’eco dei Mondiali del 1966 e ne La
pavoncella si affaccia il delitto Pasolini. Ecco, che ruolo ha la Storia
per te? E quali sono gli aspetti che maggiormente ti interessano e ti
coinvolgono?
Esiste
anche un Emanuele Gagliardi poeta, che ama leggere e scrivere versi. Ce ne
parli? Chi sono i tuoi poeti preferiti e a chi ti ispiri, quando componi?
Sì, esiste un
Emanuele Gagliardi poeta precedente e parallelo allo scrittore thriller. Come
dicevo all’inizio, parlando dell’alter ergo Soccodato, nel mio carattere è
presente una nota malinconica a cui si affianca la disposizione
all’introspezione, alla contemplazione della natura. Non sempre riesco a
trattenere l’emozione dinanzi a un tramonto, al mare, alla luna… Tradurre questo
in versi è venuto potrei dire spontaneo, a partire dagli anni del Liceo
allorché mi sono avvicinato ed appassionato alla poesia del Novecento. Il poeta
che in assoluto “sento”, nell’accezione più totale del termine, è Giuseppe
Ungaretti ma mi trasmette molta emozione anche la poesia di Pier Paolo
Pasolini, di Sandro Penna, di Vincenzo Cardarelli. Altrettanto mi ispirano la
poesia e la letteratura cinese e giapponese soprattutto per la essenza
contemplativa, per i loro toni tenui da acquerello, per la loro potenza mai
aggressiva e men che mai volgare anche quando sono affrontate tematiche a
contenuto erotico. Per contro non amo la
poesia retorica dell’Ottocento. In generale non ho proprio attrazione per quel
secolo che mi dà la sensazione angosciante di un tetro monumento funereo,
un’enorme scultura cimiteriale incrostata di polvere, senza vita, e sempre
oppressa da un orizzonte plumbeo.
Tornando
alla letteratura di tensione, quali prospettive pensi che ci siano per questo
genere? Come valuti, in generale, l’attuale momento dell’editoria? L’e-book
soppianterà il libro cartaceo? Chiederlo a un autore di gialli “vintage” può
sembrare un paradosso…
Credo che la
letteratura di tensione - mi piace
questo termine! - abbia ottime prospettive. Riferendoci al nostro Paese, il
gradimento riservato al genere si mantiene sempre alto anche quando la
produzione, parlo di letteratura ma pure di televisione, proprio dagli anni
Settanta ha voluto discostarsi dai classici – Agatha Christie o Arthur Conan Doyle, per intenderci – introducendo fra gli ingredienti
risvolti umani e sociali che fanno leva sull’emotività dei lettori e/o spettatori.
L’antinomia bene-male, investigatore buono quasi supereroe-delinquente cattivo
socialmente emarginato, è meno marcata. Il criminale è… uno di noi! E così pure
l’inquirente. Nelle indagini più che fulgide intuizioni c’è paziente lavoro di routine, a volte condito, come nei miei
romanzi, con un’ambientazione tutta italiana, magari grazie all’uso del
dialetto, a riferimenti alla realtà nostrana che possono andare dalla
gastronomia alle tradizioni del paesino di provincia, alla fedeltà ai metodi
investigativi delle nostre forze dell’ordine. Il personaggio diventa in tal
modo contemporaneamente più semplice, perché più prossimo a noi, e più
complicato in quanto riflesso dei nostri sentimenti, delle nostre difficoltà,
delle nostre angosce. Il successo del giallo in definitiva si può spiegare
soprattutto con questo processo di identificazione, con tutte le sue
implicazioni catartiche o almeno di immediata gratificazione, servito su
pagina, su schermo o su E-reader nell’intimità del salotto di casa. A quanti
considerano il giallo un sottoprodotto letterario o comunque un genere di
consumo immediato, rispondo con la parole di Italo Calvino che in un intervista
del 1974 ha detto: “il poliziesco è una
forma in sé perfetta del romanzesco, e come tale vale certamente più di molta
produzione che passa per letteratura intellettuale”.
L’editoria oggi,
esattamente come altre produzioni, è vittima delle leggi di mercato che
raramente viaggiano a braccetto con la qualità. Libri ce ne sono tanti, forse
troppi! Così ti capita di entrare in libreria – a parte che i libri si vendono
anche al supermarket! - e rabbrividire davanti allo scaffale delle novità
perche insieme con Umberto Eco trovi… nomi non ne faccio perché sarebbe scorretto,
ma quanto a requisiti intellettuali non si va più in là di tronisti, veline, tuttologi… Paradossalmente, visto che sono un total-vintage, credo che l’E-book abbia
una funzione positiva nell’approccio
alla lettura delle generazioni più giovani. Penso che non soppianterà il libro
cartaceo, perlomeno mi auguro con tutto il cuore che non accada, ma può
affiancarlo degnamente rendendo più agevole ed abbordabile economicamente la
diffusione e la fruizione della letteratura.
Progetti
futuri?
Con la fedele Olivetti sto
ultimando la stesura di un nuovo thriller. La storia prende le mosse
nell’aprile 1979, qualche settimana dopo l’uccisione di Mino Pecorelli, il
controverso direttore dell’agenzia OP. Il commissario Soccodato si trova a
indagare su un delitto, commesso con modalità palesemente sadiche, che lo conduce
nel sottobosco dell’eversione terroristica neofascista, all’epoca (più o meno
in buona fede) poco considerata e avversata. La morte violenta della prima
vittima, un innocuo portinaio sessantenne solo al mondo e con la tessera del MSI,
sembrerà più tardi collegarsi allo stravagante ménage di due facoltosi coniugi
e ad un secondo omicidio che matura invece nell’ambito di una singolarissima coppia
la cui apparente esistenza piccolo-borghese cela attitudini sadomasochistiche e
patologie neuropsichiatriche.
Il
tuo messaggio in bottiglia per i lettori di “Atmosfere Letterarie”…
Una vita senza i libri è come una
cornice senza il quadro.
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