Derek B. Miller
Uno strano luogo per morire
2014
Pag. 315
Neri Pozza
"Cosa
ci verrei a fare? Sono americano. Ebreo. Ho ottantadue anni. Sono un
vedovo in pensione. Un marine". Sheldon Horowitz non è andato per il
sottile la prima volta in cui sua nipote Rhea ha osato chiedergli di
trasferirsi da lei e Lars, suo marito, a Oslo. Un ebreo del New England,
un ex combattente, capace, durante la guerra in Corea, di premere il
grilletto di un fucile con il tocco di un amante e di far fuori la
bellezza di dodici uomini, catapultato a Oslo?! Tra i ghiacci della
Norvegia?! Dinanzi però alle insistenze di Rhea, stufo forse di vagare
da solo per le strade di New York dopo la scomparsa della moglie Mabel,
Sheldon ha ceduto ed è andato a vivere nella città in cui la nipote si è
fatta strada come architetto e suo marito come sviluppatore di giochi.
Nel quartiere di Oslo dove abita, la popolazione è in maggioranza
composta da balcani, pakistani e somali traslocati nel parco locale a
masticare incessantemente khat. Sheldon trascorre la maggior parte del
tempo a passeggiare oppure a rimuginare, tra le pareti di casa, sul suo
passato di cecchino e sul suo non aver fatto colpevolmente nulla perché,
anni addietro, durante la guerra in Vietnam, Saul, il padre di Rhea,
non ci lasciasse le penne. Un giorno, mentre è comodamente allungato sul
divano a leggere un libro di Danielle Steel, sente delle grida
provenienti dal piano di sopra. Grida in una strana lingua dai toni
acidi e livorosi. Poi tonfi, botte, singhiozzi e passi in avvicinamento,
rapidi e regolari...
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