Intervista a Umberto Lenzi e recensione del romanzo “Cuore criminale”
(Golem)
a cura di Daniele Cambiaso
Quentin
Tarantino lo cita pubblicamente come uno dei suoi maestri. Ha diretto attori
del calibro di Henry Fonda, Helmut Berger e John Houston. Ha legato il suo nome
ad alcune pellicole diventate oggetto di culto come Milano odia: la polizia non può sparare, Roma a mano armata e Napoli
violenta e ha creato l’intramontabile figura del Monnezza nel fortunato sodalizio
artistico con Thomas Milian. Ha frequentato con successo tutti i generi, dal
bellico all’horror, dall’avventura al thriller, dal giallo all’italiana al
fantastico, prediligendo in maniera netta il cinema rispetto alla tv. Quello
che non tutti forse sanno è che ha raccolto un archivio privato ricchissimo
sulla guerra civile spagnola e sul periodo del fascismo, e che agli esordi ha
legato il suo nome a un toccante documentario di denuncia sociale, Dalle tenebre al mare, che raccontava la
tremenda vita dei minatori del massetano. Oggi, Umberto Lenzi è uno scrittore
raffinato e pungente, che ha creato un’interessante serie di romanzi noir
incentrata sulla figura dell’investigatore privato Bruno Astolfi, un
ex-commissario di Polizia radiato durante il regime fascista per il suo
antifascismo. Con Cuore criminale,
pubblicato per i tipi dell’editore torinese Golem, il ciclo dedicato ad Astolfi giunge alla sua settima avventura,
dopo essere stato aperto nel 2008 con Delitti
a Cinecittà (pubblicato anche nel Giallo Mondadori nel 2013) e proseguito
con Terrore ad Harlem, Morte al Cinevillaggio, Scalera di sangue (tutti editi da
Coniglio), Spiaggia a mano armata (Rizzoli) e Il clan dei Miserabili (Cordero).
Questi thriller attraversano la storia del cinema, dal
periodo dei ”telefoni bianchi” in pieno regime fascista fino alla Cinecittà
dell’immediato dopoguerra, raccontando un’Italia che vive il dramma della
seconda guerra mondiale e le difficoltà della ricostruzione. Il protagonista,
Bruno Astolfi, è un detective privato che, insofferente nei confronti delle
imposizioni del regime fascista, è stato radiato dalla Polizia e ha trovato la
sua clientela nel mondo dei cinematografari, in forza di alcuni successi
investigativi che lo rendono noto a Cinecittà. Le sue indagini, pertanto,
finiscono col diventare anche un viaggio all’interno di una stagione
irripetibile e unica della storia del cinema italiano. Anarchico, polemico,
burbero, Bruno è un vero uomo d’azione, che mostra anche qualità umane
inaspettate, soprattutto quando si trova davanti alla sofferenza reale e alle
miserie dell’uomo. In Cuore criminale
ci troviamo sul set del film Cuore,
diretto da Duilio Coletti: il ritrovamento di alcune polizze del Monte dei
Pegni intestate alla contessa Monaldi Vazquez e il succesivo rinvenimento del
cadavere della donna nel suo villino dei Parioli, innescano un’inchiesta
difficilissima, che porterà Astolfi a individuare il colpevole. Come sempre, sarà una partita molto rischiosa, tra
depistaggi e nuovi omicidi, per la quale il “detective dei divi” arriverà a
mettere in gioco la stessa vita. Un thriller duro e
graffiante, dal ritmo incalzante, che
fotografa l’anima più nera del dopoguerra italiano e sul quale Umberto Lenzi ha
accettato di rispondere a qualche domanda in esclusiva per “Atmosfere
letterarie”.
Cuore
criminale rappresenta la settima avventura per il detective privato Bruno
Astolfi. Ripercorriamo insieme la sua carriera. Per prima cosa, come è nata
l’idea di creare un investigatore privato che si muovesse ai margini di
Cinecittà?
Molti anni fa, nel 1983, partecipai
con un racconto, La quinta vittima,
al Mystfest di Cattolica e vinsi il primo premio. Da lì mi venne l'idea di
scrivere un giallo hard boiled ambientato sul set di un vecchio film
italiano che amavo molto, La corona di
ferro (1941) di Alessandro Blasetti, che era stato mio insegnante al CSC.
Scrissi Delitti a Cinecittà,
che a causa dei miei impegni cinematografici rimase nel cassetto fino al
2008, quando cambiai casa e ritrovai il vecchio dattiloscritto dimenticato. Un
amico, Franco Grattarola, lo propose all'editore Coniglio che lo pubblicò
immediatamente. Il romanzo fu presentato alla libreria Piola di Bruxelles
nell'Aprile di quell'anno, ebbe molto successo ed è stato ripubblicato nei
Gialli Mondadori. Lo scrittore e amico Giancarlo De Cataldo scrisse una
recensione e m'invitò a proseguire con il personaggio dell'investigatore
privato Bruno Astolfi, ex pugile e ex questurino espulso dai ruoli per il suo
antifascismo, che di quel romanzo era appunto il protagonista.
Nel corso delle varie inchieste, Astolfi si
muove sul set di varie pellicole: da La
corona di ferro a Harlem, da Due lettere anonime fino a Tombolo paradiso nero, passando per
un’incursione nel Cinevillaggio repubblichino di Venezia. Nell’indagine
dell’ultimo romanzo, invece, il film di riferimento è Cuore diretto da Duilio Coletti e Vittorio De Sica, che fu anche
tra gli interpreti insieme a Maria Mercader. La sensazione è che questi romanzi
rappresentino anche l’occasione per un omaggio a registi e attori di una
stagione irripetibile del cinema italiano. È corretto? Come mai queste scelte?
Queste pellicole cosa rappresentano per Lenzi, sia come scrittore, sia come
regista?
In effetti i miei romanzi
del ciclo legato a questo detective vogliono essere la rivisitazione, in
forma mistery, di un periodo glorioso del cinema italiano, che va dai
telefoni bianchi del 1939 all'affermarsi del Neorealismo nel
dopoguerra. Ma per gli episodi precedenti a Cuore criminale ho volutamente scelto dei film non tanto per il
loro valore intrinseco, quanto per le suggestioni e i ricordi che mi
suscitavano. In buona sostanza, ho reso omaggio a registi e attori che hanno rappresentato,
nella mia giovinezza, un importante viatico professionale.
Come si è documentato per l’ambientazione
storica? Quali tipi di fonte utilizza?
Per la documentazione, mi
sono avvalso dei miei ricordi personali, e della vasta bibliografia che ho
precisato alla fine di ciascun volume. Voglio sottolineare che registi, attori,
scrittori citati nei romanzi, io li ho conosciuti di persona e fanno
quindi parte del mio vissuto.
Cuore
criminale racconta luci e ombre dell’Italia del dopoguerra. Come valuta
quel periodo? Perché la interessa come sfondo per le sue storie?
In
tutto il ciclo mi sono proposto di raccontare il cinema italiano dal 1939 al
1947, e gli avvenimenti storici che ne costituivano lo sfondo, in
particolar modo la cronaca drammatica degli anni di guerra e della
ricostruzione, servendomi per rendere il clima dell' epoca di articoli di
giornali, canzoni, testimonianze scritte e orali.
La sua scrittura è molto “cinematografica”,
ricca di azione e con grande attenzione ai dialoghi. Quali sono, se ci sono,
gli autori di riferimento ai quali si ispira? Ci sono dei romanzi che ama in
modo particolare?
Per lo stile narrativo, mi
sono rifatto ad autori che amo moltissimo ,come Simenon, Michael Connelly,
Stuart Kaminski. Cioè all'attenzione che il grande Simenon dedicava ai
personaggi quotidiani, e per il ritmo serrato e i dialoghi ai
grandi autori del noir americano, tra tutti il maestro del genere Raymond
Chandler.
Invece come valuta il momento attuale della
narrativa, non solo di genere, italiana e straniera?
Sono molto scettico circa la
narrativa contemporanea e non solo quella specificatamente mistery. I romanzi
di oggi sono troppo privati, nel senso che esprimono la visone del mondo dell'
autore quasi sempre come esperienza personale. Ma la mia è solo
l'impressione di un lettore che ha sempre privilegiato - nel cinema e nella
letteratura - l'approccio diretto alla realtà senza psicologismi o mediazioni
intellettuali.
Se questo ciclo di avventure diventasse una
fiction, quale attore del passato o del presente vedrebbe bene nei panni di
Astolfi, Elena e Patanè?
Io mi auguro che i romanzi
del mio ciclo sul cinema diventino il progetto di una
fiction, vedrei bene per il personaggio di Astolfi Raoul Bova,
per Elena, Micaela Ramazzotti e per Patanè Giancarlo Giannini.
Può anticipare qualcosa dei suoi futuri
progetti?
I futuri progetti? Ho un
grande avvenire alle spalle, diceva un collega di cui mi sfugge il
nome. Lo dico sorridendo anch’io, aggiungendo però che in estate è
prevista l’uscita della mia biografia curata da Silvia Trovato e Tiziano
Arrigoni. Si intitolerà “Una vita per il cinema. Umberto Lenzi, l’avventurosa
storia di un regista” e conterrà moltissimo materiale inedito, addirittura si
partirà dal mio periodo liceale in quel di Massa Marittima. Credo ci sia da
divertirsi…
Infine, il suo messaggio in bottiglia per i lettori di
“Atmosfere letterarie” e il nostro grazie per questa chiacchierata…
L'utopia è come l'orizzonte: vai avanti per centinaia di metri e e l'orizzonte è sempre lì, procedi ancora per chilometri e l'orizzonte è tuttora lontanissimo e irraggiungibile. allora che serve l'utopia: serve a farci camminare.
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