SIMONE TOGNERI
E' nato nella Valle di Corsonna, ai piedi dell'appennino Tosco-Emiliano, nel bel mezzo dei "giorni della merla". Forse è per questo che non ha mai freddo.
La passione per il disegno lo ha portato a diplomarsi in pittura all'Accademia di Belle Arti di Firenze, poi ha scoperto la scrittura e i disegni sono finiti nel cassetto.
Ha pubblicato i romanzi "Dio del Sagittario" (L'Età dell'Acquario)
"Arnoamaro, un'indagine di Simòn e Mezzanotte" (Frilli),
"Loop" (Meme)
e "Nature morte a Firenze" (Frilli)
Nel 2013, insieme all'amico chef decoratore Claudio Menconi, ha pubblicato il romanzo/ricettario "Caterino, romantico duello in punta di forchetta" (Brandani).
"Arnoamaro, un'indagine di Simòn e Mezzanotte" (Frilli),
e "Nature morte a Firenze" (Frilli)
Nel 2013, insieme all'amico chef decoratore Claudio Menconi, ha pubblicato il romanzo/ricettario "Caterino, romantico duello in punta di forchetta" (Brandani).
Suoi racconti sono apparsi in "Tutto il nero dell'Italia" (Noubs), "Racconti nella rete 2008" (Nottetempo), "Carabinieri in giallo 2" (Mondadori), "Toscana in giallo" (Frilli).
Ha pubblicato su"Cronaca Vera", "Il Carabiniere", "Sherlock Magazine" e su "Il Manifesto".
Recentemente grazie all'amico Alessandro Sesti, vignettista de "La Nazione", ha riscoperto il disegno e l'amore per la satira.
Vive, ascolta le voci, scrive e disegna in una grande casa ai margini di un bosco misterioso, insieme a un manipolo di gatti che, a suo dire, tengono lontani lupi e briganti.
Oltre che in giro per i boschi, se volete lo trovate anche su Facebook e su Twitter.
Ed ecco l'intervista che gentilmente ha rilasciato a Atmosfere Letterarie.....
D. Che rapporto hai con Firenze e con la Toscana in generale?
Ed ecco l'intervista che gentilmente ha rilasciato a Atmosfere Letterarie.....
Ciao Simone.
Prima di tutto vogliamo ringraziarti per la tua cortesia e disponibilità a concedere questa intervista al blog Atmosfere Letterarie.
Sono
io che ringrazio voi per l'ospitalità che mi offrite.
D. Il tuo ultimo romanzo “Nature morte a Firenze”, edito dalla Fatelli Frilli Editori, sta avendo un ottimo successo di critica. Ci racconti come e quando è nata la tua passione per la scrittura noir e in particolar modo come sono nati i personaggi di Simon e Mezzanotte?
Sono da
sempre attratto dalle storie, indipendentemente dal mezzo
con cui vengono raccontate. Che sia un romanzo, oppure il teatro, il
cinema o la musica, l'aspetto che mi interessa è quello delle
emozioni. Quindi, con il tempo, ho capito che sarebbe piaciuto anche
a me riuscire a emozionare qualcuno attraverso qualcosa di mio. La
passione per la lettura, poi, ha fatto sì che scegliessi lo
strumento della parola. Dall'ascoltare storie allo scriverle ce
ne corre, però ho voluto provarci. E in questo mi hanno aiutato
molto Simòn e Mezzanotte. Sono i primi personaggi che ho conosciuto,
che sono venuti a bussare alla mia porta. L'occasione di incontrarli
è stato un esame di anatomia artistica all'Accademia di Belle
Arti di Firenze, in cui volevo proporre una storia a fumetti da me
sceneggiata e disegnata. Il soggetto era, grosso modo,
quello che poi è diventato "Dio del Sagittario". Loro
erano già lì, nelle pagine che via via aggiungevo e mi è bastato
mettermi in ascolto. L'esame poi è stato un disastro. Però se ho
cominciato a scrivere, il merito (o la colpa) è di quell'esame.
D. Ci puoi descrivere brevemente anche il tuo romanzo “fuori serie” Simon e Mezzanotte, “Loop”?
Ci
sono aspetti di questa società che non mi piacciono, che mi fanno
rabbia. Uno di questi, ad esempio, è la pirateria stradale e la
giustizia che sull'argomento latita da anni. In "Loop"
ho voluto parlarne non tanto da un punto di vista giuridico o
tecnico, quanto da quello emotivo. Mi sono chiesto cosa potrebbe
scattare nella testa di un uomo che perde la moglie in un
incidente d'auto ed è costretto a vedere l'artefice del suo dolore
libero di andarsene in giro come se niente fosse. Accade spesso
anche nella realtà, purtroppo è un dato di fatto, e secondo me
è importante non abbassare la voce. In Italia c'è l'abitudine di
vedere i problemi solo quando si presentano. Se vogliamo che
qualcosa cambi, secondo me, occorre parlare di ciò che non
funziona anche quando non succede niente. "Loop"
è la mia piccolissima voce che si unisce al coro.
D. Il noir secondo Simone Togneri. Cosa rappresenta per te?
Per
me il noir è un viaggio sul lato oscuro della luna. L’occasione
per scivolare nel profondo dell’animo umano ed esplorarne la parte
buia. È la possibilità di raccontare, attraverso la finzione,
quello che davvero non funziona, di dar voce a chi non ce l’ha, di
puntare la lampada sugli angoli più polverosi della società in cui
vivo, che a volte non mi piace.
D. In tutti i tuoi romanzi c’è qualcosa di personale? Da dove trai spunto per le tue storie?
Sì,
certo, non potrebbe essere diversamente. Scrivo di ciò che conosco,
per cui è inevitabile che a volte finisca sul personale. Nelle
storie con Simòn e Mezzanotte si parla spesso di pittura, di arte,
dell'Accademia di Belle Arti di Firenze che ho frequentato a suo
tempo, e certi episodi di cui ho scritto partono da spunti reali.
Anche negli stessi personaggi c'è qualcosa di me. La ruvidità di
Mezzanotte e la fragilità di Simòn sono aspetti che mi appartengono
e che si compensano, creando la personcina equilibrata che sono. Per
quanto riguarda gli spunti, non c'è limite alla provvidenza e
possono arrivare in qualunque momento. Mi piace pensare che siano le
storie a scegliere gli autori, e non il contrario. Per cui a volte
basta una scritta su un muro, una scena vista per strada o un
articolo di cronaca per essere scelti.
D. Simone, tu hai una scrittura che è particolare, affascinante, con dialoghi di rara intensità emotiva. Trovi differenze nel tuo stile di scrittura attuale rispetto agli inizi?
Be', intanto grazie dei complimenti. Mi fa particolarmente piacere perché per me i dialoghi sono sempre stati ostici, per quello cerco di inserirne sempre tanti nelle storie che racconto. Sono un mio limite, e non certo l'unico, per cui penso che sia importante lavorare partendo proprio da ciò che non si sa fare. Il mio stile, ammesso che ne abbia uno, non mi soddisfa mai. Non sono mai contento di ciò che scrivo e per quello non vado mai a rileggere cose che ho pubblicato. A meno che non ci sia l'occasione di una ristampa, ma per il momento non è mai capitato. Posso dire che negli ultimi anni, cioè da quando sono tornato a vivere nel casolare di famiglia che è immerso in una vallata boscosa e un po' misteriosa, ho l'impressione che il mio modo di scrivere sia cambiato. Ma non necessariamente in meglio
Be', intanto grazie dei complimenti. Mi fa particolarmente piacere perché per me i dialoghi sono sempre stati ostici, per quello cerco di inserirne sempre tanti nelle storie che racconto. Sono un mio limite, e non certo l'unico, per cui penso che sia importante lavorare partendo proprio da ciò che non si sa fare. Il mio stile, ammesso che ne abbia uno, non mi soddisfa mai. Non sono mai contento di ciò che scrivo e per quello non vado mai a rileggere cose che ho pubblicato. A meno che non ci sia l'occasione di una ristampa, ma per il momento non è mai capitato. Posso dire che negli ultimi anni, cioè da quando sono tornato a vivere nel casolare di famiglia che è immerso in una vallata boscosa e un po' misteriosa, ho l'impressione che il mio modo di scrivere sia cambiato. Ma non necessariamente in meglio
D. Che rapporto hai con Firenze e con la Toscana in generale?
Sono
un toscano di confine, nel senso che la zona in cui vivo si trova tra
Emilia Romagna e Liguria, quindi appartengo a un territorio che ha
subito molte influenze culturali. Sono anche un toscano di montagna,
perché mi trovo tra gli Appennini e le Apuane, e sento un legame
fortissimo con la terra dove sono nato e cresciuto. Non è un caso
che, come dicevo prima, abbia deciso di tornare a vivere tra gli
stessi alberi che amavo quando ero bambino. Però sono anche uno
di quei toscani che ha vissuto a Firenze. Ho abitato lì per diversi
anni e ho avuto modo di conoscerla da residente e non da
visitatore occasionale. Un po’ sento di appartenerle. È una città
che amo, che ho conosciuto negli aspetti meno da
cartolina e non sempre positivi, che mi emoziona sempre
quando ho l'occasione di tornarci. Ambientare le mie storie a Firenze
è la possibilità per me di viverci ancora.
D. Come scrive Simone Togneri? Scrivi di getto o pianifchi prima tutto? Carta, penna e calamaio o direttamente al PC?
Penna
d'oca? No, scherzo naturalmente. Il pc è fondamentale perché mi
permette di avere subito una forma definita e leggibile di ciò che
scrivo e soprattutto posso fare correzioni all'infinito senza
sprecare un grammo di carta. Però ultimamente ho cominciato a
scrivere a mano. Questo perché ho l'impressione che se scrivo
al pc la confezione influisca sul contenuto e lo migliori,
falsandolo. Invece se lavoro a mano metto a nudo la
scrittura e resta solo la storia. Una volta che quella funziona, o
almeno così pare a me, trasferisco tutto sul pc per
le modifiche, le riletture e tutto il resto. Purtroppo ho una pessima
calligrafia e il difficile è capire cosa ho scritto. Non riesco a
pianificare una storia per intero, mi sembrerebbe di forzarla ad
andare dove dico io e non dove vuole lei. Certe vicende
hanno una sorta di percorso di logica naturale. Alcuni
eventi si possono decidere, altri ne sono la conseguenza. Ignorare
questa logica, rischia di trasformare ciò che si è scritto in
una farsa poco credibile. L'unica volta in cui ho preparato una
scaletta piuttosto dettagliata, l'ho stravolta completamente in fase
di stesura.
D. Trovo che nel leggere i tuoi romanzi ci si trovi davanti ad uno dei migliori narratori italiani. Secondo te esiste una differenza tra narratore e scrittore? E se si, quale?
Se
dici così mi fai arrossire e se avessi una testa a questo punto me
la monterei. Per fortuna la testa non ce l’ho e continuerò a non
considerarmi nemmeno uno scrittore. Per venire alla domanda, confesso
che nella mia ignoranza caprina non ho mai capito fino in fondo quale
sia la differenza e non mi sono mai nemmeno appassionato troppo al
tema. Per me contano le storie e le emozioni che sanno dare, a
prescindere da chi le racconta.
D. Come è nata la tua collaborazione con la Fratelli Frilli Editore?
Avevo
Frilli nel mirino già da un po’. Mi piace quello che fanno e come
lo fanno. Ci mettono passione e per me questo è fondamentale. Quando
un amico in comune mi mise in contatto con loro, fui ben felice di
inviare la bozza di quello che poi sarebbe diventato “Arnoamaro”.
Poi incontrai Carlo Frilli al Salone del Libro e fummo subito
amiconi. La storia gli piacque, ma per vari motivi non riuscimmo a
pubblicarla subito. Alla fine però il progetto è andato in porto e
ne sono fiero. Se sono ancora in giro per le librerie dovete
ringraziare lui. O rifarvela con lui, vedete voi.
D. Quando si crea un personaggio seriale, esiste il rischio di diventare ripetitivi? Qual è il segreto per proporre sempre qualcosa di nuovo?
Quando
ho a che fare con protagonisti seriali da lettore, mi
aspetto di ritrovare qualcosa che conosco già. L'ambientazione
per esempio, un certo modo di scrivere e di condurre
la storia verso la soluzione del caso, di riconoscere un determinato
retroscena che mi permetta di condividere ciò che provano i
personaggi. L'elemento nuovo è dato dalle difficoltà che lui
o lei si trova ad affrontare di volta in volta. Nuovi casi, nuovi
personaggi, e via di seguito. Quando ho a che fare con la
serialità da scrittore, diventa difficile individuare il limite
tra ciò che chi sta dall'altra parte vuole leggere e ciò che invece
trova ripetitivo, trovare l'equilibrio tra ciò che devo dire e
cosa no e dosare la giusta misura tra il dire
troppo o il dire troppo poco. È un casino, insomma. Ho scritto
solo tre romanzi con protagonisti Simòn e Mezzanotte, e inizialmente
doveva essercene uno e basta, quindi non ho ancora l'esperienza per
dire se ci sia un segreto o una regola che garantisca la longevità
di un personaggio. L’unica che mi viene in mente è quella di far
leggere ciò che si è scritto a un certo numero di lettori
fidati. Ma questo in fondo vale un po' per tutto, no?
D. Fra tutti i romanzi che hai scritto, qual è stato quello più duro da scrivere? Quello più sofferto emotivamente ?
Il libro
in cui ho avuto più difficoltà non è un noir, ma un
romanzo/ricettario dai toni leggeri e divertenti. "Caterino,
romantico duello in punta di forchetta". Nel 2013 il mio amico
chef decoratore Claudio Menconi mi coinvolse in quella che per me è
stata una vera sfida, cioè scrivere una storia che avesse come tema
la goliardia toscana, l'amore, la cucina e un pizzico di follia. Io
che non avevo mai scritto niente del genere, accettai senza essere
sicuro di riuscire nell'impresa e faticai non poco a capire quale
fosse la chiave per far muovere e parlare i personaggi senza renderli
ridicoli. L'ho trovata nella naturalezza, lasciandoli liberi senza
obbligarli a far ridere per forza. Ora, se ha funzionato non lo
so, ma di certo io e Claudio ci siamo divertiti molto.
Dal punto di vista emotivo, invece, ho sofferto molto nello scrivere "Loop". E' quello che mi ha fatto coinvolto più di tutti, che mi ha fatto salire le lacrime agli occhi, che è arrivato a toccare le mie corde più profonde.
Dal punto di vista emotivo, invece, ho sofferto molto nello scrivere "Loop". E' quello che mi ha fatto coinvolto più di tutti, che mi ha fatto salire le lacrime agli occhi, che è arrivato a toccare le mie corde più profonde.
D. Qual è la parte più esaltante nello scrivere un romanzo?
So
che rischio di essere scontato, ma a me diverte ogni fase. Dalla
prima stesura, dove per mille volte mi trovo a dover affrontare la
famosa pagina bianca, alla trecentesima rilettura. E mi piace
parlarne, quando ho la possibilità, con chi lo ha letto. Scoprire
cosa pensa dei personaggi, cosa ha provato leggendo di quel
determinato evento o del finale. Mi piace sapere che strascico ha
lasciato, se lo ha lasciato. E ti dirò, mi piace anche il momento in
cui non scrivo. Stare seduto in riva al torrente, fumando un sigaro,
a cercare di sciogliere un certo nodo narrativo, per esempio. Il più
delle volte il nodo non si scioglie, però quando torno a casa sono
molto più rilassato.
D. Che rapporto hai con i tuoi lettori? Che effetto ti fa sapere che una storia che hai scritto tu provocherà delle forti emozioni in tante altre persone?
Già
il fatto di immaginare di avere dei lettori mi sorprende e mi
emoziona. Con loro, almeno con quelli che ho avuto modo di conoscere,
c’è un rapporto molto bello che si rinnova di continuo. Sono
lettori attenti, che spesso mi fanno notare aspetti delle storie che
io stesso ignoro. Sono fiero di loro. Come dico spesso, non scrivo
per me. Per me faccio altro (tipo, appunto, fumare un sigaro in riva
al torrente o passeggiare in un bosco). Quando scrivo mi emoziono e
spero che chi mi leggerà lo farà a sua volta. A volte capita che
qualcuno me lo dica e mi rimandi indietro le stesse emozioni che ho
provato io filtrate dal suo personale modo di sentire. Allora il
cerchio si chiude e la scrittura trova il suo senso. E lo trovo
anch’io.
D. Lo scrittore preferito da Simone Togneri. Quello italiano e quello straniero.
Ce
ne sono talmente tanti che farei un torto a qualcuno se facessi
qualche nome. Amo tutti quegli autori che mi lasciano qualcosa da
portare dietro anche a lettura finita. Quelle storie che quando
chiudo il libro restano con me a lungo, quei personaggi che mi fanno
riflettere e che tornano alla mente quando meno me lo aspetto.
Apprezzo molto gli autori italiani. E non parlo solo dei
maestri, ne abbiamo di bravissimi anche tra coloro che cercano
di emergere. Spesso però si pensa che chi viene da oltre confine sia
migliore. Non è così. O almeno non sempre. Dobbiamo imparare a
fidarci del Made in Italy anche in fatto di emozioni.
D. Cosa ne pensi del momento della scrittura giallo/noir/thriller di oggi in Italia? Qualcuno dice che ci sono anche troppi scrittori rispetto al numero di lettori….
…motivo
per cui bisognerà che qualcuno, tipo il sottoscritto, cominci a dare
l'esempio e la smetta. Sto scherzando, naturalmente… Penso che il
genere stia vivendo una stagione molto florida, con una nuova
generazione di autori che, affiancato dalle colonne portanti, si sta
imponendo sul panorama nazionale e internazionale. Mi sembra che ci
sia un interesse crescente anche nel pubblico, e lo dimostrano anche
i numerosi festival del giallo che nascono un po’ in tutta Italia e
sono sempre affollati. Che siamo in tanti è vero, spesso gli
scrittori sono lettori che hanno sentito la voglia di scrivere. Come
è capitato a me. Scrivere è una cosa bellissima e sono del parere
che tutti dovremmo farlo. Sarebbe un modo per esprimersi, imparare a
parlare meglio, avere le idee più chiare e lasciare anche qualcosa
di noi, selfie a parte, a chi verrà dopo. Pubblicare è un’altra
questione. Lecito provarci, ma bisognerebbe essere consapevoli che
nulla è per forza. Invece in molti siamo disposti a tutto pur di
vedere il nostro nome su una copertina, anche a ricorrere
all’editoria a pagamento. Pagare non ci trasforma in scrittori, ma
facciamo finta di non saperlo. Questo ci frega già in partenza.
D. Secondo te, bisogna andare giù duri nelle descrizioni, nei dialoghi, nelle scene di violenza, di sesso per creare un effettivo aspetto realistico, o c’è ancora spazio per scrivere alla Simenon per esempio?
Credo
che anche qui non ci sia una regola. Dipende dal tipo di storia che
si sta raccontando, da ciò che essa richiede per essere credibile.
Personalmente penso che nulla debba essere messo dentro solo perché
“ci sta bene” o “fa figo”. Se non serve, se distrae,
evitiamolo. E ogni cosa al momento giusto. Inserire una descrizione o
dilungarsi su un certo stato d’animo nel bel mezzo di un’azione
concitata, fa sì che il lettore salti interi paragrafi perché vuol
sapere come andrà a finire. E il “salto del paragrafo” non è
certo lo sport preferito dagli scrittori.
D. Simone, molti scrittori sffermano che a volte i personaggi prendono la mano allo scrittore, che sembrano vivere di vita propria. E’ così anche per te?
Io dico sempre che sento le voci quando scrivo, che scrivo sotto dettatura e a volte sotto “dittatura”, perché quando vogliono essere ascoltate non resta altro da fare che cedere. Per cui figuriamoci se i miei personaggi fanno quello che dico io. E a me in fondo sta bene così perché mi risparmiano un sacco di fatica. Loro raccontano, io scrivo. Facile.
Io dico sempre che sento le voci quando scrivo, che scrivo sotto dettatura e a volte sotto “dittatura”, perché quando vogliono essere ascoltate non resta altro da fare che cedere. Per cui figuriamoci se i miei personaggi fanno quello che dico io. E a me in fondo sta bene così perché mi risparmiano un sacco di fatica. Loro raccontano, io scrivo. Facile.
D. Un ultima domanda: prossimi progetti e il sogno di Simone Togneri. Come scrittore e come uomo…
Progetti
ce ne sono tanti, il cassetto è pieno, e non so quale di questi
troverà, se la troverà, la strada della libreria. Non sono un
autore molto prolifico e, a differenza di molti amici, non ho un
calendario definito con le prossime uscite. Per cui ogni libro, in
teoria, potrebbe essere l’ultimo. Sogni, eh? Be’, come scrittore
mi piacerebbe entrare in contatto con un maggior numero di lettori.
Come uomo ne ho tanti, troppi per raccontarli tutti o sceglierne uno
solo. E poi ho paura che, se lo dico, poi non si avveri più.
Grazie ancora Simone, davvero di cuore, da tutti noi.
Grazie a voi per la bella chiacchierata e in bocca al lupo per il vostro blog.
Cin, Simone!
Grazie a voi per la bella chiacchierata e in bocca al lupo per il vostro blog.
Cin, Simone!
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